PANE E FOCACCE NEL MEDIOEVO

I cereali e i legumi erano alla base della dieta dei ceti più poveri, che li usavano in cucina a chicchi interi, per farne delle zuppe, oppure essiccati sotto forma di farina.
Quest’ultima serviva per preparare l’impasto del pane, che tuttavia era assai raramente ben lievitato e cotto in forno perché conteneva più cerali quali segale, avena, farro, panico e miglio, più poveri di glutine rispetto al frumento.
Il prodotto finale era un pane scuro, dalla forma di gallette o di focacce, e veniva cotto perlopiù sotto le braci o su apposite lastre di terracotta sopra il fuoco.
Il pane nero così ottenuto diventava duro rapidamente, ma poteva essere conservato per lunghi periodi di tempo: settimane o mesi interi. Per renderlo di nuovo commestibile, doveva essere inzuppato in acqua, vino oppure brodo.
Il pane di frumento puro, dalla caratteristica colorazione bianca, era appannaggio solo delle classi nobili e delle comunità monastiche e veniva preparato ogni giorno perché fosse sempre soffice, fragrante e ben digeribile.
Inoltre, sulla tavola potevano anche comparire altri cibi preparati con il medesimo tipo di impasto: ecco allora le pinsae, ossia focacce imbottite che costituivano la versione alto medievale delle odierne pizze e calzoni, e ancora pasticci vari ripieni di carne o di uova.
Il pane era considerato un cibo utile e prezioso; perciò, la Regola di San Benedetto da Norcia imponeva che, durante i periodi di carestia, gli spezzoni avanzati venissero raccolti e conservati un vaso apposito, cosicché ogni settimana i monaci potessero cucinare con i tozzetti messi da parte delle torte a base di uova e farina da cuocere in padella.

Condividi: