LA RACCOLTA DI FRUTTI SPONTANEI

Per integrare la produzione agricola dei campi e per fare approvvigionamenti di ciò che poteva servire per l’allevamento del bestiame o la produzione artigianale, in età longobarda i servitori, i coloni e i contadini facevano molto spesso delle ricognizioni nei boschi e nel sottobosco.
Infatti, la raccolta dei frutti spontanei della vegetazione era complementare alla coltivazione della terra in un’ottica di sfruttamento integrato e completo delle risorse naturali.
A base dell’alimentazione rurale e contadina vi erano le castagne, indispensabili per preparare zuppe, polenta e farina. Accanto ad esse, trovava un posto di riguardo le noci raccolte, dalle quali era possibile estrarre un olio, molto usato nelle preparazioni gastronomiche alto medievali in luogo dell’olio d’oliva, destinato alle tavole degli aristocratici o per le funzioni religiose.
Ugualmente indispensabile era il miele selvatico dei boschi, che fino al XIV secolo rimase l’unica sostanza dolcificante conosciuta. Dato il suo alto valore, le leggi longobarde in Italia contenevano molte prescrizioni atte a regolamentare l’appropriazione degli sciami e del miele selvatico.
Oltre al miele, soggetto a tassazione (decima) in quanto bene prezioso quanto indispensabile, le api fornivano anche la cera, utilizzata per la fabbricazione delle candele, con le quali si illuminavano sia le chiese, sia le abitazioni private e i palazzi sede di esercizio del potere.

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