LA PESCA DELLA LAMPREDA

Tra le specie ittiche più amate dai Longobardi e considerata come una prelibatezza culinaria si ricorda la lampreda di fiume.
Uno dei modi per cucinare questo pesce era di stufarlo all’interno del proprio sangue, insieme a vino rosso e cipolle. Molto probabilmente, la predilezione per questo piatto da parte dei longobardi sta nel fatto che il sapore della lampreda è molto simile a quello della carne, regina indiscussa della tavola medievale.
La lampreda di fiume, il cui nome scientifico è lampetra fluviatilis, appartiene alla classe degli agnati e differisce dalla varietà marittima per via delle dimensioni inferiori e per la conformazione della testa. Si tratta di un pesce che non ha un vero e proprio scheletro formato da ossa, ma una struttura cartilaginea e non ha un cranio vero e proprio. Il suo corpo è grigio-brunastro, di forma tubolare ed è caratterizzato da una bocca priva di mascelle e sempre aperta, che evidenzia numerosi denti acuminati con cui la lampreda lacera la pelle e i tessuti delle sue vittime, cui si attacca per succhiarne il sangue; quest’ultimo viene mantenuto fluido grazie a una particolare sostanza anticoagulante che è contenuta nella saliva. La lampreda di fiume si nutre anche si piccole prede come aringhe e spratti, oltre a resti di animali morti.
Questa è una specie migratrice, che risale il corso dei fiumi in primavera, verso il mese di maggio, per accoppiarsi una sola volta nella vita e, in seguito, morire.
La lampreda, molto comune nelle acque dolci al tempo dei Longobardi, è oggi una specie classificata come protetta dalla convenzione di Berna del 1981.

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