BENEVENTO

Benevento centro longobardo
I Longobardi nel 571 fondarono a Benevento un Ducato, di cui Arechi II fu il principe più importante e conosciuto. Protetto dalla sua potenza e dalla posizione appartata, il Ducato si mantenne incolume davanti alla minaccia dei Franchi e lo stesso Carlo Magno fu costretto ad arrestarsi ai suoi confini. Nel corso di cinque secoli, la città vide il fiorire di attività culturali e accrebbe il suo prestigio fino a diventare capitale della Langobardia Minor.
I segni più rilevanti della presenza longobarda in città sono rappresentati dalla chiesa e dal chiostro di Santa Sofia, dal complesso di Sant’Ilario e dalla Cinta Muraria.

Il complesso di Santa Sofia
La chiesa di Santa Sofia fu fondata dal Duca Arechi II subito dopo la sua elezione (758), con la funzione di tempio nazionale e cappella votiva della gente longobarda, la chiesa venne in modo inconsueto dedicata a Santa Sofia (Santa Sapienza) forse su suggerimento di Paolo Diacono, a somiglianza di quella giustinianea di Costantinopoli (Haghia Sophia).
L’edificio era già completo nel maggio del 760, quando furono traslate nell’abside maggiore le reliquie dei SS. Dodici fratelli martiri recuperate in varie città italiane. Il tempio accolse ancora nel 768 le reliquie di San Mercurio e poi quelle di trentuno santi martiri e confessori.
Arechi II affiancò alla chiesa un cenobio femminile, affidato alla sorella, la badessa Gariperga. Del cenobio rimane testimonianza nel chiostro, oggi parte integrante del Museo del Sannio.
La chiesa è di dimensioni piuttosto modeste (si iscrive in un cerchio di 23,50 metri di diametro) e ha una composizione architettonica di grande interesse. Il singolare impianto stellare, convergente dalla zona d’ingresso verso le tre absidi opposte, è da considerarsi un raro esempio di architettura longobarda.
La facciata presenta linee barocche e rispetta la configurazione assegnata all’edificio negli anni successivi al terremoto del 1688, con un timpano raccordato ai campi laterali con linee di colmo a leggera curvatura. La parte centrale della facciata presenta un pregevole portale, costituito da stipiti e architrave in marmo, sormontato da una lunetta arricchita di preziose sculture in altorilievo su fondo dorato.
Sugli intradossi degli archi che fiancheggiano il portale principale, si conserva una rara testimonianza della decorazione dipinta che, nella costruzione longobarda, doveva ricoprire il paramento esterno o le pareti di un nartece.
Lo schema a pianta centrale, probabilmente di influenza bizantina, ha un perimetro ad andamento irregolare, con l’inserzione di uno schema stellare e di tre conche absidali di limitata profondità. La complessità dello spazio interno è esaltata da due ambulacri concentrici. Il più interno, ritmato da un giro di colonne, definisce un esagono sul quale si imposta la cupola, ora più alta di quella originaria, ricostruita a seguito del terremoto del 1688. L’ambulacro esterno, di forma decagonale, è scandito da pilastri quadrangolari.
Le colonne dell’esagono reimpiegano capitelli d’età classica e, come basi, capitelli antichi rovesciati e modificati anche con l’aggiunta di motivi decorativi.
Gli otto pilastri a sezione quadrata – realizzati con filari di blocchi in pietra calcarea alternati a filari di mattoni pieni – e le due colonne di spoglio con capitelli antichi che formano il decagono, sono sormontati da pulvini altomedievali, otto dei quali con decorazione a fuseruole allungate e coppie di perline.
I numerosi materiali antichi di spoglio presenti in Santa Sofia sono riutilizzati in funzione strutturale e non soltanto decorativa, a testimonianza del rispetto e della concreta considerazione in cui si tenevano tali cimeli del passato.
L’interno doveva essere completamente affrescato, come dimostrano i frammenti tuttora visibili. Gli affreschi delle absidi rappresentano uno dei documenti più importanti, ma anche più controversi della pittura longobarda in Italia meridionale.
Il ciclo originario, datato dalla critica unanimemente all’VIII secolo, in fase con la realizzazione delle opere murarie, doveva essere incentrato su episodi della vita di Cristo e, più precisamente, sull’Incarnazione e sull’Infanzia.
La zona a est, con le tre absidiole, conserva alcune scene che testimoniano l’alta qualità delle maestranze.
Nell’absidiola nord è raffigurato l’Annuncio a Zaccaria, padre di San Giovanni Battista. La scena è divisa in due momenti: a sinistra l’Arcangelo Gabriele, con il braccio teso in avanti e la mano nel gesto della parola, annuncia la futura paternità a Zaccaria.
Nella scena a destra, Zaccaria, reso muto dall’angelo per la sua incredulità, mostra la bocca ai fedeli.
Nell’absidiola verso sud sono rappresentati gli episodi dell’Annunciazione e della Visitazione.
Anche queste storie si susseguono con l’ordine cronologico seguito nel Vangelo, sicché il ciclo risulta essere una precisa illustrazione del primo capitolo di Luca.
Nella Visitazione “Elisabetta è colta nell’atto di palpare il ventre gravido della Madonna ma essendosi prostrata quasi in ginocchio davanti a lei, nello stesso momento in cui Maria, accennando a baciarla, l’accarezza in volto e, tenendola per il capo, la mano sotto la gota, la sforza a rialzarsi” (Bologna).
Del chiostro longobardo, probabilmente distrutto dal terremoto del 986 a.C., rimane traccia sia nelle fonti antiche che in alcuni elementi della decorazione scultorea (un gruppo di capitelli a stampella con decorazioni ad incavi geometrizzati) reimpiegati nel chiostro che lo sostituì nel XII secolo.
La pianta del chiostro è quadrangolare, con una rientranza nell’angolo meridionale che consente di lasciare libera la larghezza dell’ambulacro occupata dal muro della chiesa. Il portico è costituito da quindici quadrifore più una trifora falcata da un grande arcone cieco ribassato in aggetto su mensole.
L’ambulacro è a crociere ribassate, un tempo decorato con affreschi. La tipologia degli archetti delle quadrifore a ferro di cavallo deriva dalla cultura ibero- islamica, penetrata nel beneventano a seguito dell’invasione normanna.
L’iscrizione inserita nella parte mediana di una colonnina consente di individuare il committente del chiostro, l’abate di Santa Sofia Giovanni IV, e di datare l’opera tra il 1159 e il 1182.
Il chiostro e le adiacenti strutture conventuali sono ora sede del Museo del Sannio, che ospita un ricco patrimonio di materiali archeologici e storico-artistici, tra i quali si evidenziano il nucleo di materiali provenienti dal Tempio di Iside, monumentalizzato da Domiziano nell’88 d.C.

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